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by Francesco Zurlo, Italian, exclusive for The diagonales
Sin dai tempi più antichi, l’uomo ha compreso che dal male può venire il bene, così intuendo che il male e il bene non esistono come un “in se”: il veleno di un animale di orrificante bellezza, come la scolopendra, poteva essere utilizzato come rimedio medico.
Così avviene nel mondo delle idee. Talvolta gli esseri umani scelgono di compiere qualcosa di evidentemente sbagliato (ad esempio, discriminare i doppiatori sulla base di caratteristiche non pertinenti, come il colore della loro pelle, decidendo che solo un doppiatore di colore può doppiare un attore di colore) nella speranza di avvicinare un obiettivo giusto (permettere una più ampia distribuzione del lavoro all’interno di tutte le categorie di persone, e non solo in alcune di esse, che risultano storicamente avvantaggiate).
Che questo possa funzionare, che cioè da un errore possa discendere qualcosa di giusto, appare oscuro, ma appartiene sin dall’inizio dei tempi all’economia delle scelte umane, e non deve stupire. Ciò che è invece chiaro è che i criteri per definire e valutare le nostre idee debbono dipendere dal tempo e dal contesto: dovrebbero cioè essere flessibili.
Questo è ciò che oggi mi sembra manchi: la flessibilità delle idee. Il pensiero sta diventando rigido, e quando il pensiero diventa rigido la mente diventa rigida, così nascono conflitti tra idiozie, barriere di mattoni senza più significato, a loro volta distrutte da ciechi che adesso lanciano i mattoni contro coloro che considerano nemici, e che sono uguali a loro, ugualmente rigidi, ciechi e arrabbiati.
Se continuiamo così, a un certo punto incendiare libri e abbattere statue ci apparrà giusto. E non riesco a credere di dover dir questo: sta già succedendo.
Le persone stanno abbattendo statue e creando liste di film proibiti. Succede adesso. E quelli che lo fanno dicono di essere i giusti. Succede sempre così.
In tutte le fazioni uguale appare il convincimento profondo di avere ragione: è questa la cosa che mi spaventa di più. Per un uomo di conoscenza, infatti, sono proprio le convinzioni a rappresentare la più pericolosa deriva.
Stiamo diventando incapaci di dubitare di noi stessi a tal punto che finiamo con il ritenere corretto abbattere cultura. Crediamo che così facendo le cose cambieranno. Che cazzata. Ma se sono secoli che gli uomini abbattono le statue. A questi grandi rivoluzionari di cartone vorrei dire: non siete diversi da quelli che vi hanno preceduto. Non siete migliori. Siete al massimo peggiori. E banali. Siete una ripetizione che si crede originale.
La verità è che abbiamo tutti la puzza sotto il naso. Alcuni si abituano, ad altri fa schifo. Siamo tutti colpevoli di star costruendo un mondo ipocrita, così politicamente corretto da essere sempre più schifosamente falso, sempre più ingiusto per essere giusto. Prima decidiamo cosa che è giusto e cosa è sbagliato, poi isoliamo le cose dal loro contesto, infine la punizione salvatrice: capri espiatori, statue abbattute, ingiunzioni di vergogna sociale, dita puntate, disgusto. In una parola: ipocrisia.
D’accordo, l’ingiustizia è ingiusta, ma noi stiamo riuscendo a rendere ingiusta persino la giustizia. E facciamo questo schifo perché crediamo fermamente di avere ragione, ed è questo il vero problema. La rigidità delle nostre idee. Non c’è nulla di peggio, nulla di più pericoloso di questo.
Una vecchia regola dice che chi ha il coraggio di criticare e distruggere dovrebbe avere il buon senso di fare anche proposte. Non sono d’accordo, ma posso provarci, a condizione che mi sia concesso, almeno per un istante, di ragionare in termini semplici.
Allora dico: non basterebbe aggiungere una nuova descrizione delle opere che vorremmo distruggere? Un contenuto critico e originale, fatto bene, (ripeto: fatto bene), al film che vorremo eliminare? Fatto bene, però.
Ad esempio, invece di abbattere la statua di questo Montanelli, perché non costruirne una descrizione che contenga le vostre idee su di essa e sul personaggio? Per quel che mi riguarda la descrizione potrebbe essere più grande dell’opera che descrive (sarebbe una scelta molto volgare, ma è pur sempre meglio che andare in giro ad abbattere statue, e poi è così difficile non essere volgari di questi tempi). In ogni caso, potremmo elaborare questa descrizione secondo i criteri estetici, contenutistici e stilistici che più ci aggradano (ne uscirà fuori qualche bella litigata e gli espertini andranno in televisione a fare il loro piccolo show, ma anche questo va bene, e poi lì basta spegnerla). Già, ecco un altro pericolo che stiamo correndo, un silenzioso sacrificio: come potrebbero gli uomini di cultura voler partecipare a tutto questo? Così avviene che quelli che una volta erano chiamati saggi, e ai quali si chiedeva consiglio, si ritirano sulle alte montagne, nel silenzio, lasciando a valle la speranza che fare cultura oggi, senza ipocrisie, senza rigidità, senza idiozie, senza questa cazzo di buon costume e psicopolizia di cui noi stessi diventiamo gli ignoranti agenti, sia ancora possibile. E, truccate come saggi, iniziano ad aggirarsi nelle valli le marionette, che nessuno sa più distinguere dagli ormai dimenticati sapienti, chiusi nel silenzio dal quale io vengo e al quale, tra non molto, volentieri ritornerò.
Certo, il metodo che io propongo non può essere applicato su tutto. Diventeremmo degli accumulatori seriali di descrizioni dei nomi delle strade che non ci piacciono. Che invece ogni tanto fa bene cambiare. Anche solo per il gusto di perderci, di fare confusione. È una cosa utile, la confusione. Ci aiuta a ricordare che i nomi delle cose siamo noi a darli, e che questo è un tanto delicato potere. Ma da qui ad abbattere statue c’è evidentemente un salto logico.
Forse l’idea della targa è troppo banale? Si potrebbe fare anche meglio: si potrebbe costruire un’opera oltre l’opera: un arco, un labirinto, delle nuove statue che circondino quella di Montanelli, magari raffiguranti l’attimo in cui qualcuno la sta imbrattando, con tanto di colata di vernice colorata che resta bloccata in aria, resa eterna dalla scultura, non come la vernice vera, che poi qualche povero cristo deve andare a togliere per guadagnarsi lo stipendio. Alle spalle, magari, la statua di un’altra persona con un bel piccone e tante cattive intenzioni, e il piccone potrebbe essere immortalato l’istante prima di toccare la statua, mostrando per sempre il coraggio di non averla abbattuta. Forse per un giovane, più che uno spazio vuoto, vale la pena vedere quel piccone lì, immobile, che fa quello che non sta facendo e non fa quello che sta facendo, per sempre (o almeno finché qualcun altro non arriverà alla cassa con altre idee rigide e vorrà abbattere anche la vostra redenzione). Ma che cazzo. Possiamo pensare un milione di idee. Possiamo rendere grande quella bambina, che invece era così piccola, talmente grande da contenere l’uomo che la ha penetrata, così che per vedere bene quella statua bisognerà prima vedere quella tanto sconvolgente verità. Forse questo è troppo psicologico come concetto, ma che volete, sono pur sempre uno psicologo, e parlo come tale. Ed è per questo che non posso condividere l’idea, sciocca e pericolosa, di annullare ciò che non può davvero essere cambiato: il nostro passato. Da clinico so perfettamente che questa è una cosa che non funziona, che crea solo ulteriori problemi. Lasciate allora che oggi parli, un istante, come se fossi un clinico dell’umanità.
Ho fatto alcuni esempi, ma spero che non vi influenzino troppo, che non vi limitino. A me interessano le idee, e le idee non hanno confini. A me interessa la libertà.
Di fronte ai segni del passato con i quali non riuscite a fare pace, gli interventi possono essere più simbolici, più estetici, più psicologici e declinarsi in moltissimi modi che rispettino, pur attribuendogli qualità positive o negative, il contenuto storico. E invece no. L’idea adesso è abbattere. Distruggere. Vendicare. Un’idea senza alcuna varietà. Un’idea povera. Vuota. Ottusa.
Io dico: non abbattetela. Perché se voi abbattete l’opera di un artista in quanto simbolo di qualcosa che non condividete, poi vorrete abbatterne un’altra, e poi un’altra, smarrendo la capacità di dubitare di voi stessi, delle vostre idee. So che vorreste distruggerla per saziare un’antica fame – che io rispetto – ma se l’abbatterete non conoscerete mai più la sazietà.
Più mangi, più mangi, dice il detto. È così. Non vi fermerete mai. Vi aggirerete per questo mondo affamati cercando cose da abbattere. E continuerete a trovarne. Gli alberi dell’ipocrisia cresceranno ovunque e su essi cresceranno i frutti della paura. E i frutti cadranno sulle nostre teste. E ci sarà sempre meno varietà tra gli uomini, e tramite la lotta aperta e coperta si deciderà che cos’è definitivamente giusto e cosa sbagliato, secondo canoni sempre più rigidi, sempre più poveri, sempre più maliziosi, mediocri, banali, limitativi.
La diversità, cioè essere se stessi, diventerà l’unico vero atto di ribellione possibile, e sarà pagato caro.
Sta già succedendo.
Punizione della diversità, coagulazione della mediocrità, proibizione della varietà.
Facciamo una cosa diversa, invece: creiamo. E quando avremo finito, lasceremo che il risultato, creato dai contemporanei, venga giudicato anche dai posteri. Non va bene che la storia inizi a funzionare così? Forse è troppo semplice? E se fosse ancora possibile? In un momento di ottimismo, lasciatemi credere che possa essere così.
Molte persone sarebbero orgogliose di poter lavorare al servizio di questo sistema creativo, percependone la responsabilità e l’importanza storica. Sono le persone che preferisco a quelle che sarebbero orgogliose di abbattere una statua, qualsiasi statua, lasciando il vuoto.
Come ho profetizzato, lì dove infatti l’uomo abbatte una statua cresce, come per un incanto, l’immarcescibile albero della sua falsità e ipocrisia. Ciò che è avvenuto nel passato non può nel passato essere cambiato: perché dunque eliminarlo? Se noi psicoterapeuti – che fronteggiamo passati per i quali non esistono aggettivi – utilizzassimo logiche di questo genere, non riusciremmo ad aiutare una sola delle persone che chiedono il nostro aiuto e finiremmo per il creare più danni di quelli che potremmo risolvere: mi sia allora concesso di credere che lo stessa stia accadendo adesso.
(Le coscienze si stanno svegliando, dite? Beh, era anche ora, dico, ma poi le coscienze di chi? Delle masse? Delle minoranze – che si comportano sempre più come masse esse stesse, e che isolano ancora di più le solitudini umane? E ad ogni modo, non basta che una coscienza si svegli e si erga dal suo letto: occorre che si educhi ad agire).
Non serve coraggio per abbattere una statua o per proibire un libro, serve solo molta ignoranza, molta presunzione, molta rigidità, serve – soprattutto – l’incapacità di dubitare.
Chi abbatte le statue oggi non cambia il passato, lo ripete.
(Ho già detto che siete banali?)
Se avessimo il coraggio di abbattere le antiche tavole, quelle interiori, non avremmo bisogno di porre più limitazioni, mentre voi vorreste distruggere le antiche tavole per porne di più rigide, ma questo è un discorso che forse non può essere compreso in questa sede.
Certo è che raramente, nella storia dell’uomo, abbiamo raggiunto un livello di rigidità delle idee così ottuso come nell’epoca in cui queste parole sono scritte, il che mostra che l’idea che l’umanità cresca e si sviluppi continuamente e su una linea retta, cumulando virtù, è una colossale sciocchezza. Guardatevi intorno.
Che tale rigidità sia posta al servizio di un ideale di maggiore libertà e tolleranza della diversità mi spaventa ancora di più. A chi ha orecchie dico: difendete la vostra libertà da queste idee di apparente giustizia.
E qui arrivo al punto, che non è in nessuna statua e in nessun film.
Il mondo che ci attende, se non cambiamo strada, è l’epoca della paura, in cui ogni uomo e donna vivrà nel terrore di fare qualcosa, di pensare qualcosa, di dire qualcosa che possa essere percepito sotto una cattiva luce. E ci saranno sempre più capri espiatori. Cadaveri di identità umane fuse nell’acciaio delle fondamenta della civiltà che andate sognando. Sta già succedendo, e molti sono già caduti sotto l’ingiustizia ineguale di quella ghigliottina. Perché se l’ingiustizia è ingiusta, non c’è nulla di più terribile di una giustizia che diventa ingiusta, per perseguire un’idea rigida.
Stiamo creando una nuova buon costume, le cui guardie hanno il volto dell’ignoranza e della stupidità che ognuno di noi in parte rappresenta, lo specchio dei nostri interessi, delle nostre bugie e ipocrisie. Siamo diventati il veleno di noi stessi che non ci può più curare.
Gli esseri umani avranno sempre più paura dell’altro, paura di esprimersi, paura infine di pensare. I bambini cresceranno imparando che non devono percepire, sentire e pensare ma imparare come percepire e pensare, aderendo a ciò che è ritenuto giusto. Comportandosi bene. Senza possibilità di sbagliare. Mai.
La loro vita emotiva e mentale diventerà sempre più segreta. Impareranno a essere sordi a se stessi, per comportarsi “bene”. Ma quel bene è il vero male.
Da bambino a volte sognavo di vivere nel futuro, e mi svegliavo contento. Adesso sogno il futuro ed ho paura.
Ci saranno dei picchi di sofferenza umana silenziosa e l’umanità si abituerà a sentire il suono continuo come di tante piccole bolle di milioni di psicopatologie che imploderanno dentro gli esseri umani, e poi fuori come vetri rotti taglienti. Ferite su ferite.
Se chiudete gli occhi, ed ascoltate bene, scoprirete che quel suono c’è già.
È adesso, e adesso, e adesso. Se sentite bene. È Lì come il grande mare con il suo infinito suono. Non lo senti finché non ci fai caso. Quando ci fai caso ti sembra un suono morbido. Ma se ascolti ancora meglio scopri che quel suono sovrasta tutti gli altri. Sono uomini che annegano sbattuti dalle onde sulle scogliere di chi decide cosa è reale e cosa non lo è, cosa bisogna dire e cosa no, cosa bisogna mangiare e cosa no.
E si andrà avanti così, in una burocrazia della morale – che promulga la nuova regola alla quale aderire, l’ultima circolare su come bisogna pensare e percepire.
La follia diventerà libertà e la libertà follia.
Esser pazzi per continuare a vivere.
Le persone si conosceranno sempre di meno, si stupiranno sempre di meno, e aderiranno talmente bene ai codici della nuova buon costume che nessuno riuscirà a capire che tipo di carne si nasconde – ormai dimentica di se stessa – sotto quel costume che inizieremo a chiamare pelle. (E ci saranno, si, nuove minoranze che si raggrupperanno e si ribelleranno, perché ogni circuito ha i suoi sistemi di autocorrezione: credo di stare parlando a loro).
L’ultima pandemia ha acuito ulteriormente questo meccanismo terribile.
Questa è davvero l’epoca della paura.
Vedete, se oggi impugno la penna e mi permetto di scrivere – cioè di dire per sempre – che state sbagliando, è per un motivo molto semplice: non può esistere una dittatura della libertà umana.
O meglio, può esistere, ma avrà più a che fare con la dittatura che con la libertà.
Ribellatevi: siate voi stessi.
Francesco Zurlo, psychotherapist, is author of several specialist publications and Professor at University Magna Graecia of Catanzaro (IT) and President of the O.I.U. – International Human Intelligence Observatory, part of the Intelligence Lab Department of the Calabria University. Editorial board member of Minerva Pediatrica Journal and Fortune Italia Columnist, Francesco has also participated to numerous international congresses. He coined the term “Psycholùogy” to refer to his original way of working and thinking (in Greek λύω/lùo, means “to solve”).
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