by Claudia Sbarra, Italian, exclusive for The diagonales –
Oggi mi sono commossa ascoltando Renato Zero che, ospite di una trasmissione televisa, si schierava dalla parte delle donne che subiscono violenza e lo faceva in un modo del tutto originale. Di fronte alle urla di sospetta violenza domestica e ai cupi silenzi provenienti da certi appartamenti esortava il vicinato a risvegliare la sua coscienza e, se possibile, a denunciare o intervenire. Concludeva poi invitando l’uomo, l’aguzzino di turno, ad uscire di casa e ad autodenunciarsi. Questa sentita solidarietà alla realtà femminile allarga il cuore e forse, per la prima volta, mi ha fatto vedere l’artista sotto una nuova luce.
Che l’artista Zero fosse una persona sensibile e artisticamente dotata è cosa nota a tutti. Che il Renato essere umano fosse così profondo e illuminato l’ho scoperto un po’ alla volta attraverso certe sue canzoni impreziosite da vibranti interpretazioni. Prima fra tutte “Il cielo“, questa urgenza di guardare in alto anziché negli abissi dell’indifferenza, della violenza, dell’odio, del rancore. L’urgenza di avere un progetto d’amore, quella necessità di darsi agli altri, di condividere, di confortare, di raccontarsi. Interprete alto di una musica che, ancorché leggera, è musica delle anime, dei pensieri, dei sogni condivisi con altri grandi artisti del patrimonio musicale italiano, come lui stesso ama ricordarci. Dei grandi cantautori italiani che non sono più fra noi ma che hanno lasciato tante piccole luci nel buio, intense come fari nella notte più buia.
Parlava dei suoi esordi dove il suo autopromuoversi come artista era affidato più al passaparola che ai media, allora ben lontani dalla potenza degli attuali social…
Raccontava dell’importanza di un raccoglimento in camerino svariate ore prima della sua esibizione, indispensabile per radunare le idee e incanalare il crescendo di emozioni nella direzione più immediata per raggiungere il cuore del suo pubblico, che negli anni si è andato facendo sempre più variegato. “Il camerino vissuto come una sacrestia”, intesa come anticamera di un luogo mistico, per poi raggiungere, una volta sul palco, quel contatto sublime con gli spettatori. Questo ci aiuta a capire la profonda sensibilità dell’artista che negli anni si è andata sempre più affinando e purificando.
Parlava della memoria che deve trasformarsi in energia per il futuro, perché la memoria è il vero patrimonio che ogni essere umano può portare a sé stesso. Vuol dire mantenere intatta la proprio identità, nonostante le insidie che il trascorrere degli anni ci mette di fronte, possibilmente impreziosendola. Per farlo, non mi stanco
di ripeterlo, basta guardarsi dentro e tirare fuori, quel tesoro che ognuno di noi custodisce nel proprio io più profondo per poi condividerlo. Mi trovo a constatare ci sia riuscito.
Caro Zero, perdonami se all’inizio, scioccata dal tuo look trasgressivo, fuori dalle righe e aggiungerei anche “na nticchia” provocatorio, non ti ho capito e ne sono rimasta scandalizzata. Forse all’epoca volevi fare scalpore dando di te un’immagine di un ribelle senza freni inibitori, sia nel look che nel contenuto di certi testi delle canzoni.
Vero è che il Renato dell’ultima ora è più misurato, ha abbandonato certi costumi di scena più eccentrici, ha saputo guardarsi dentro, commuoversi, ha preso coscienza della sua bella anima, su di lei si è concentrato e se ne prende cura.
Oggi, in tutta franchezza, mi sento di dire che lo Zero della prima ora si è riconciliato e sovrapposto a questo Renato con il quale può andare degnamente a braccetto e magari strizzargli anche un occhio.
Per concludere con le tue parole: “E’ musica per l’anima saperti qui”.
Grazie Renato.
Claudia Sbarra è nata a Roma dove tuttora vive. Ha conseguito una laurea in Lettere moderne (indirizzo antropologico) e a seguire un diploma di laurea in Riabilitazione motoria. Nel 2017 è stata pubblicata la sua prima opera A BASSA VOCE, nel 2019 IN CONFIDENZA, a breve ne uscirà una terza. Le piace indagare sui dubbi e le fragilità delle persone.