La Gàrdia: quando i piemontesi emigrarono in Calabria

by Stefano Pantezzi

L ‘Italia è una miniera d’oro.
O almeno lo sarebbe, ospitando il 70% del patrimonio artistico del mondo, se non lo impedisse quel pizzico di dissennatezza che ci caratterizza. Ma qualche volta l’oro spunta fuori nei posti più impensati, dal calderone della Storia.In Calabria, nella piccola frazione di Guardia piemontese sulla costa del Tirreno, anni fa ci si accorse che si andavano perdendo tradizioni uniche e strane di quel borgo: l’uso dell’Occitano e l’arte di tessere il broccato con il filo d’oro.


Circa 10 anni fa queste due tradizioni erano quasi estinte: pochissimi parlavano occitano e una sola donna padroneggiava ancora la tecnica di una tale tessitura. Per cui alcune donne volonterose diedero vita a una associazione per recuperare questi contenuti, riproducendo i costumi antichi più preziosi (anche se non più con l’oro fino) ma anche quelli poveri tra i quali quelli fatti col filo di ginestra.
Ma perché Guardia piemontese e perché l’oro?
L’origine del nome è nota: la cittadina in altura consentiva di sorvegliare íl mare e le incursioni dei pirati saraceni, e la comunità che vi si installò proveniva dalle valli torinesi in seguito alle persecuzioni in Francia.
Alla base di tutto stavano le Crociate, la conquista di Costantinopoli e della Terra Santa, dalle quali erano usciti ricchissimi Ordini guerrieri come i Templari.
Proprio questi ultimi, divenuti troppo potenti e creditori delle case regnanti e dello stesso Papa, furono perseguitati come eretici.
A un certo punto toccò anche ai Valdesi di Guardia, che nel 1561 subirono una orrenda strage, ricordata nella piazza principale dalla “Pòrta dal Sang” (Porta del sangue), ovviamente commessa non dai Turchi ma dai Cristiani.


Per la Storia la mattanza è da attribuire alla formale adesione del Valdesi alla Controriforma Luterana e Calvinista, così come gli analoghi eccidi in Piemonte del 1655 noti come “Pasque Piemontesi”.
Ma forse Guardia, piccolo insediamento nascosto tra i monti calabri, sarebbe stato risparmiato, se non avesse messo improvvidamente in mostra i broccati in seta e in oro di cui andava fiera.
Anche se non commercializzati, la disponibilità del prezioso metallo non passò inosservata.
E forse qualcuno nelle alte sfere pensò, magari neanche a sproposito, che lì si nascondesse una parte almeno del mitico inafferrabile Tesoro dei Templari, sottratto alle confische belliche.
E così… dagli all’eretico.
E avvenne ciò che avvenne.


Stefano Pantezzi, nato a Rovereto nel 1956 e cresciuto a Trento, vive a Pergine Valsugana. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna, è avvocato da una vita. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Come una nave d’acqua (YCP, 2018), i romanzi “Siamo inciampati nel vento” (Edizioni del Faro, 2020) e “Giovanni, l’Alighieri e il Caffè sulla Luna” (EdF, 2021), e la raccolta di racconti “Di stelle in cielo, in terra e in mare” (EdF, 2024). Collabora con il Magazine TM TrentinoMese (www.tm-online.it) e fa parte del collettivo “Scripta-appassionati di Scrittura” di Trento.