WHO I AM:
Fotografo eclettico, ha studiato letteratura italiana e storia dell’arte all’Università statale di Milano prima di seguire un corso di giornalismo all’Università di Boston poi di ottenere un diploma di fotografia all’European Institute of Design di Milano. Inizia durante i suoi studi la sua carriera di fotografo coprendo temi sociali in India and Peru, ma anche sfilate di moda a Milano e a Parigi dove lavora come assistente photo editor a Magnum. Nel 1998, decide di andare in Kosovo a spese sue e documenta la guerra e la pulizia etnica in corso iniziando a lavorare come staff della Associated Press. Di ritorno in Italia, documenta il giubileo della chiesa cattolica a Roma. Segue il G8 di Genoa e dopo la strage del 11 settembre 2001 decide di andare in Afghanistan che raggiunge a piedi dal Nord, attraversando le montagne. Arriva a Kabul prima della sua caduta, sarà ferito da un sniper talebano durante una imboscata il 13 novembre 2001. Ottiene un contratto esclusivo con la Getty Images News Service nel 2002 e copre i conflitti del Medio-Oriente, prima in Palestina poi in Iraq dove rimarrà quasi 3 anni. Viaggia nel mondo: Gaza, Africa, America Latina, Balcani…, sempre alla ricerca della dimensione umana degli eventi o dei conflitti. Prosegue anche il suo lavoro di analisi della società in Europa dal palio di Siena a temi religiosi in Sicilia, in Spagna o a Roma al Vaticano. Ha lavorato per le Nazioni Unite, per l’Unicef, Save the Children e per la CNN. Il suo lavoro è stato pubblicato dai più grandi giornali e riviste americani ed europei come: Newsweek, Time magazine, New York Time magazine, Whashington Post, Vanity Fair, The Times, The Guardian, Der Spiegel, Stern, Die Ziet, Paris Match, le Monde, Libération, Internazionale, La Repubblica, Corriere della Sera, El Mundo, El Pais, ecc. Ha ricevuto numerosi premi internazionali in tutto il mondo tra cui due World Press Photo nel 2002 e nel 2011.
Intervista di Thierry Vissol
- Hai iniziato a fotografare molto giovane, da dove ti viene questa passione?
Ho iniziato a fotografare da ragazzino, ma era una semplice passione adolescenziale, non mi sarei mai immaginato che sarei diventato un fotografo professionista. Feci un viaggio bellissimo in Egitto con mia madre a metà degli anni Ottanta, solo noi due e lei mi insegnò ad usare la sua macchina fotografica, una Olympus OM-10.
- Volevi diventare critico d’arte e hai iniziato tuoi studi universitari in storia d’arte e letteratura italiana, poi hai cambiato verso il giornalismo e la fotografia, perché?
Una delle altre grandi passioni che avevo da adolescente e che ho tuttora era la pittura e la storia dell’arte in generale ma anche la letteratura, ho letto più libri fra i 14 e i 25 anni che dai 25 anni ad oggi. Non facevo altro che leggere e andare a vedere mostre d’arte, ricordo che uno dei primi libri che lessi da ragazzino fu la Metamorfosi di Kafka, che non era proprio una lettura da adolescente. La pittura, la luce, la composizione mi hanno insegnato tanto e mi sono servite da spunto per decidere di diventare fotogiornalista. Ma la vera decisione venne lavorando come volontario del soccorso in ambulanza e rendendomi conto che volevo avere un lavoro che avesse una funzione sociale, che “servisse a qualcosa” che desse voce a chi una voce non ha, e quindi ho messo insieme tutte le mie passioni: pittura, luce, composizione, arte, letteratura, geo-politica, il sociale, viaggiare, la mia curiosità e diventare fotogiornalista e partire per una guerra mi è sembrata la scelta più ovvia.
- Hai iniziato la fotografia con un Olympus OM10 poi con una Canon facendo foto analogica che sviluppavi da solo. Adesso con quale macchina fotografica stai lavorando? Come hai vissuto il passaggio al digitale? È una perdita in termini di qualità o ti da più possibilità?
Ho iniziato con una Olympus OM-10 perché era la macchina di mia madre e con la quale mi aveva insegnato a fotografare. Poi quando sono diventato professionista nel 1998 ho iniziato ad usare una Nikon fino alla fine della guerra in Iraq nel 2005. Quando tornai dopo quei 3 anni passati in Iraq le mie attrezzature erano distrutte e dovendo comprare un nuovo kit. Scelsi Canon solo per una questione di convenienza economica. Per me una macchina vale l’altra. Le macchine fotografiche e la tecnica fotografica non mi interessano e non mi sono mai interessate, per me la macchina fotografica è solo un elettrodomestico, come un frullatore o un frigorifero e la tecnica fotografica mi annoia mortalmente. In ogni caso sono figlio del digitale in quanto sono fotografo professionista dal 1998 e solo i primi due anni in Kosovo ho scattato in analogico.
- I tuoi primi lavori professionali erano su temi sociali: bambini stuprati e abbandonati in India, povertà degli abitanti delle Ande peruviane, ma nello stesso tempo facevi anche foto di moda, come si può passare di temi così impegnativi al massimo della superficialità e della ricchezza?
Per essere precisi il mio primo lavoro da fotografo professionista è stato la guerra in Kosovo nel 1998, la moda, l’india e le Ande erano esperimenti praticamente non pagati precedenti al mio lavoro da professionista. La prima foto che ho pubblicato da professionista e per la quale sono stato pagato, fu un miliziano dell’Esercito di Liberazione del Kosovo in combattimento pubblicata a Luglio del 1998 sulla Repubblica e scattata per la Associated Press. E in ogni caso nella moda ho fotografato principalmente sfilate e ho passato più tempo come assistente di un grande fotografo di moda che fotografando io stesso e inoltre scattavo book per le modelle. In ogni caso la bellezza, la sofferenza, le Ande, la ricchezza, la povertà, la superficialità, i bambini stuprati e tutto quello che hai elencato sono lati diversi della stessa medaglia, la vita e il mondo che ci circonda. A me interessa raccontare il mondo e la vita, la superficialità esiste solo come comportamento e attitudine verso le cose, non considero la ricchezza o la moda superficiali o più o meno superficiali di un bambino stuprato o della guerra, sono cose molto diverse, se la ricchezza di un filantropo serve a salvare i bambini stuprati non è più superficiale per esempio.
- Sei attirato dalla bellezza in generale come l’espressione la più vera di tutte le forme di vita, ma presto sei diventato corrispondente di guerra. C’è anche bellezza nella guerra? O è la tua sensibilità alla sofferenza umana che ti ha spinto verso questa forma di giornalismo?
Non trovo la bellezza come l’espressione più vera di tutte le forme di vita, solo una di esse, una delle tante, sono attratto dall’estetica e dalla bellezza ma non in modo superficiale e fine a se stessa. Non trovo ci sia bellezza nella guerra in sé, ma in tutto c’è bellezza, e quindi anche nella guerra ci possono essere momenti di bellezza un tramonto, un paesaggio, un luogo di culto, il viso di una persona, una emozione, un sentimento.
- Hai coperto molti conflitti, in Kosovo, Afghanistan, Medio-Oriente (Gaza, Iraq) fine anni ’90 e all’inizio di questo secolo, anche dopo essere stato ferito in Afghanistan, perché? Sfida alla vita, incoscienza ho bisogno assoluto di testimoniare?
Non mi sento incosciente come credo non lo sia nessuno che fa il mio lavoro, è stata una scelta precisa, alcuni lavori constano di rischi maggiori e raccontare e come ho già detto dare voce a chi una voce non ha è stata la mia scelta e se i rischi ne fanno parte è solo una delle caratteristiche di questo lavoro.
- Alcune delle tue foto sono state utilizzate fuori del loro contesto, anche da personalità come il segretario di Stato americano John Kerry. Penso a quella del 2003 presa in Iraq che rappresenta un bambino che salta sopra linee di centinaia di cadaveri ritrovati in una tomba collettiva nel sud di Baghdad e depositati in una scuola per essere identificati. La foto è stata utilizzata come foto della guerra in Siria. Cosa pensi di queste malversazioni? È così facile imbrogliare la gente e cosa si può fare per impedirlo?
Purtroppo, non sempre si riesce ad avere il controllo dei contenuti e del loro utilizzo e il tema delle “fake news” e della propaganda è sempre esistito e sempre esisterà anche se con l’avvento dei social è diventato un tema sempre più preponderante e della massima importanza, le “fake news” stanno influenzando gli elettorati durante elezioni politiche e spostando equilibri importanti. Basti pensare a quello che è successo durante le ultime elezioni americane o della macchina mediatica e di propaganda messa in piedi da Matteo Salvini, macchina chiamata non a caso “La bestia” quando era Ministro dell’Interno per rendersi conto della situazione.
- I temi religiosi sono numerosi nel tuo lavoro, e contrariamente a quello della guerra, prosegui tuttora inchieste e servizi su questi temi, cosa ti attira? La spiritualità, la sacralizzazione della fede o la bellezza delle immagini che si possono fare nel decoro religioso?
Quello che mi attira da non religioso e ateo quale sono è il misticismo, la sacralità, il potere, la bellezza della religione che alla fine non è altro che uno strumento di coercizione e controllo dei popoli, serve ai potenti ai tiranni ai despoti per controllare le masse forse è questo controllo che mi affascina. Se penso alla chiesa cattolica, agli scandali, ai tanti abusi denunciati, ai tanti preti responsabili di reati, non mi sembra diversa da una qualsiasi altra setta che difende i propri interessi e i propri membri. Basti pensare all’avallo che il nazismo ne ebbe in Germania e al ruolo controverso del papa di allora, Pio XII, del quale si dibatte ancora se abbia favorito la fuga di nazisti in America Latina. Tutto ciò ha un certo fascino se così possiamo definirlo.
- Dal 2016 sei passato a una filiale della Getty, la Verbatim Photo Agency, specializzata nella foto commerciale. È una evoluzione della tua carriera legata all’età o non supportavi più di essere testimone del dolore, della crudeltà e della disperazione umana?
Credo sia stata una naturale evoluzione data dalla volontà di diversificare la mia produzione ed esperienza, in ogni caso il fotogiornalismo rappresenta ancora il 95 per cento del mio lavoro ed è il mio lavoro più importante e significativo.
- Sei un fotografo ecclettico in grado di affrontare molti temi totalmente diversi. Sei anche un ciclista appassionato, capace di fare più di una migliaia di kilometri durante le tue vacanze, affrontare la montagna in lunghi percorsi. Come mai non hai coperto un giro d’Italia o un Tour de France o altre competizioni cicliste?
Non ho mai neanche guardato un Tour de France o un Giro d’Italia in televisione, il ciclismo mi interessa praticarlo non guardarlo o fotografarlo, e comunque fare il fotografo di sport è un altro mestiere rispetto a quello che faccio e comunque non mi è mai interessato. Non credo di aver mai visto in televisione o dal vivo una competizione sportiva, lo sport mi interessa moltissimo ma solo se lo pratico in prima persona altrimenti lo trovo noioso.
- Con il Covid hai passato una settimana “imbedded” in una squadra della Crocce rossa a Bergamo nel più forte della crisi? Come hai vissuto questo periodo drammatico? Qualche assomiglianza con la tua esperienza di corrispondente di guerra?
Il mio recente lavoro di documentazione del Covid-19 a Bergamo è stato uno dei lavori più dolorosi e traumatici che ho svolto soprattutto perché a soffrire era il mio popolo, la mia gente persone che parlavano la mia lingua non vi era il filtro di un interprete. Il dolore si assomiglia sempre.
- Le tue immagini, anche le più crudi, hanno tutte una fortissima dimensione estetica. Quando parli dei posti “caldi” dove ti sei trovato dici che hai avuto la fortuna di trovarti al posto giusto al momento giusto. Ma quando devi trovare l’angolo giusto per scattare la foto in una situazione difficile, come fai?
Istinto, esperienza, sensibilità, attesa, pazienza, dedizione, umiltà, conoscenza, queste sono le cose che mi vengono in mente.
- Ultima domanda: sei affascinato dalla bellezza delle cose e degli esseri viventi, come mai non hai fatto fotografie di nudo?
Come lo sport non mi è mai interessato fotografare il nudo neanche nella mia sfera privata, nella fotografia di nudo non ho mai trovato il tipo di risposte che cerco.
LE FOTO
HELMAND PROVINCE, AFGHANISTAN Ð JUNE 8: Afghan child, Felishima 8-yers-old is seen as she recovers in her hospital bed on June 8, 2007 at the British Army Field Hospital at Camp Bastion in a location in the desert in the Helmand Province in Southern Afghanistan. Felishima was allegedly injured after the roof her house collapsed on her following a mistaken U.S. war planes bombing on her village during the fighting between ISAF and the Taliban, according to her relatives and the British military medical personnel from the UK Med Group. The British Army hospital in Camp Bastion, run by the United Kingdom Joint Force Medical Group, provides the medical cover for all ISAF personnel operating in Helmand Province in Southern Afghanistan. In addition to the British, Danish, Estonian, Czech and American troops, who operate under the command of Task Force Helmand, the British hospital treats significant numbers of Afghan patients from across the spectrum of conflict, including Afghan National Security Forces, Taliban and civilians. The hospital, although situated in a tent, is the most advanced in southern Afghanistan. The medical team have developed groundbreaking trauma management practices including the use of consultants as part of its Medical Emergency Response Team. Early use of senior medical expertise ensures that clinical assessment can be started the moment a casualty is retrieved from the battlefield. This unique method of reducing time spent in medical reception and stabilisation has enabled patients to move from helicopter to operating table, via accident and emergency, sometimes in less than twenty minutes. The hospital boasts a five-bed accident and emergency department incorporating two portable digital x-ray machines, a CT scanner and an operating theatre where two patients can simultaneously undergo surgery. Ward space is provided for 25 (surging to 50) casualties including up to eight intensive therapy beds. In addition to accident and emergency, surgical and ward care the hospital also has physiotherapy, pathology, dental and welfare departments. (Photo by Marco Di Lauro/Getty Images)
MEDITERRANEAN SEA – JUNE 10: Some of the 77 migrants whom have been sailing overnight for seven hours before been rescued by the MOAS Search and Rescue teams are seen onboard of the Phoenix on June 10, 2015 during their mission in the Mediterranean Sea. The MOAS (Migrant Offshore Aid Station) is a registered Foundation based in Malta. It is dedicated to preventing loss of life at sea by providing assistance to migrants who find themselves in distress while crossing the Mediterranean Sea in unsafe vessels. Equipped with the 40 meters (130 ft) expedition vessel, the Phoenix, two Remote Piloted Aircraft, two RHIBs (rigid-hulled inflatable boats), and a highly experienced team of rescuers and paramedics from MSF (Medecins Sans Frontieres) , MOAS is able to locate, monitor, assist and rescue vessels in distress. Once the migrants are rescued the MOAS deliver them in the ports of Sicily in Southern Italy where they hand them over to the Italian authorities which they will assist, register and host them in temporary centers for migrants in the port where they have been disembark. The project is financed by Christopher and Regina Catrambone a couple of millionaire humanitarian entrepreneur whom believe strongly in mitigating the migrant disasters in the Mediterranean. (Photo by Marco Di Lauro/Getty Images Reportage)
ROME. ITALY – OCTOBER 16: Emergency workers and Police Officers hold a blanket as they carry out of a subway station the body of a person who died when a train collided into the back of another train in downtown Rome on October 16, 2006 in Rome,Italy. On Tuesday, one person was killed and 50 wounded when a subway train collided into the back of another train at a train station in downtown Rome. (Photo by Marco Di Lauro/Getty Images)
AL MUSAYYIB, IRAQ- MAY 27. An Iraqi child jumps over a line of hundreds of bodies, in a school where the body have been brought from a mass grave, to be identified, discovered in the desert in the outskirt of Al Musayyib, 40 km south of Baghdad, May 27, 2003. It has been estimated between 10,000 and 15,000 Iraqis had been reported missing in the region south of Baghdad. People have been searching for days for identity cards or other clues among the skeletons to try to find the remains of brothers, fathers, mothers, sisters and even children who disappeared when Saddam’s government crushed a Shi’ite uprising following the 1991 Gulf War. (Marco Di Lauro/Getty Images)
PORT AU PRINCE, HAITI – JANUARY 24: An Haitian looters is seen crying after fighting with others looters in the city center on January 24, 2010 in Port Au Prince in Haiti. As many as 200,000 people died on January 12 as a consequence of the 7.0-magnitude earthquake. At least 130 people have been pulled alive from the rubble. An estimated 1.5 million people have been left homeless. The Haitian government is planning to relocate some 400,000 people, currently in makeshift camps across the capital, to temporary tent villages outside the city. Aid agencies are still struggling to supply food and water to survivors, while thousands of Haitians who suffered serious injuries remain in need of urgent medical attention.(Marco Di Lauro/Reportage by Getty Images)
BUENOS AIRES, ARGENTINA Ð MAY 27: Boca Juniors soccer team cheerleaders are seen as they perform during the match between Boca Junior and Godoy Cruz at La Bombonera stadium, on May 27, 2012 in Buenos Aires, Argentina. Club Atletico Boca Juniors is an Argentine football team based in the La Boca neighborhood of Buenos Aires. They currently play in the Argentine First Division. The club was founded on April 3, 1905 by five Italian immigrants. Boca Juniors is the most successful football team in Argentina and one of the most successful in the world, having won 51 official titles at the national and international level. Boca’s last official title obtained is the 2011 Apertura tournament. Internationally, the team has won eighteen international titles, a record shared with A.C Milan from Italy. Their international trophy haul includes six “Copa Libertadores” four “Recopa Sudamericana”, three world club titles (International Cups), two “Copa Sudamericana” one “Copa Oro” one “Supercopa Sudamericana”, and one “Supercopa Master” Boca Juniors is also one of only eight teams to have won CONMEBOL’s treble. Their success usually has Boca ranked among the IFFHS’s (International Federation of Football History & Statistics) Club World Ranking Top 25, which they have reached the top position six times. Boca was also named by the IFFHS as the top South American club of the 1st decade of the 21st century (2001Ð2010). (Photo by Marco Di Lauro/Reportage by Getty Images for Outside Magazine)
In evidenza
FOGGIA, ITALY – JUNE 5: A migrant is seen in the field on June 5, 2013 at the Ghetto a slum 15 Km from Foggia, Puglia, Southern Italy “Ghetto” is the name that seasonal African workers gave to a slum that is in the middle of the captains, the agricultural region in the north of Puglia in Southern Italy. A real town, organized in barracks built around a few abandoned buildings. The huts are made with cardboard, recycled wood, twine and rope. During the harvest season of tomatoes at the Ghetto live between eight hundred and a thousand people, most of which come from West Africa. Seasonal workers earn on average between 20 and 25 Euros per day, from which must be deducted about 5 Euros for transport in the fields, 3.5 euro for a sandwich in the evening, 1.5 euro for a bottle of water and 20 Euros per month for the rent of a mattress in a shack. After a day in the fields, the workers return to the barracks of the Ghetto, mattresses smashed flat on the dirt floor, some blanket lying in the dust and hanging clothes in plastic ili. The rooms housing the bathrooms are made in the best case with four plastic walls, or with curtains hung on pegs. No pipes, only a plastic bucket that must be filled before the tank. In the Ghetto there is no running water or electricity. The camp was built near some abandoned houses. In Italy there are many laborers who live in these conditions. (Photo By Marco Di Lauro/Reportage by Getty Images for Der Spiegel