by Gissela Tufino Lopez, Ecuatorian, exclusive for The diagonales
Per fare uno stage universitario di 3 mesi in un’azienda di Quito, ci sono arrivata il 22 febbraio 2020. Ero in missione nella foresta amazzonica quando, il venerdì 13 marzo, la mia Scuola Superiore mi ordinò formalmente di tornare in Belgio. Purtroppo, il lunedì 16 l’Ecuador chiuse le sue frontiere e adottò misure di contenimento: divieto assoluto di lasciare la propria abitazione tra le 14:00 e le 5 :00 del mattino e di qualsiasi spostamento non necessario. La polizia e i militari garantivano il rispetto delle regole, che, di fatto, a Quito, furono rispettate con disciplina, almeno nel periodo in cui ci sono rimasta e mi sentivo al sicuro.
Non appena ricevuto l’e-mail dalla mia Scuola, contattò la mia compagnia aerea per cambiare la data di ritorno. Tuttavia, i voli facevano scala a Madrid e la Spagna aveva deciso il lockdown dal 15 marzo. Le altre compagnie, speculando sul disagio della gente, avevano triplicato il prezzo dei biglietti: tra i 4.500 e i 6.000 dollari, mentre in alta stagione il viaggio Quito-Bruxelles supera raramente i 1.500 dollari. Ora dovevo anticipare il prezzo del biglietto e mia assicurazione di viaggio rifiutava di pagare il rimpatrio finché non ero ammalata.
Quindi il 16 contattò via e-mail il Consolato belga di Quito. Fu l’Ambasciata di Lima a rispondermi, informandomi che essendo in quarantena erano chiusi per 15 giorni e potevano solo inviarmi gli orari dei voli per l’Europa, ma nient’altro… Questi voli ponevano molti problemi: dovevo contattare le compagnie, trovare un volo e pagarlo qualsiasi fu il prezzo. Da Quito nessuno di loro era per Bruxelles, ma per Parigi o Amsterdam. Si doveva raggiungere l’aeroporto con i propri mezzi – e alle persone fuori Quito era consigliato di prevedere due giorni per raggiungere la capitale a causa del confinamento! Una volta arrivati a destinazione si doveva andare in Belgio con i propri mezzi. Poiché i paesi europei stavano adottando misure di “lock-down” senza preavviso, era impossibile sapere se nel frattempo il paese di destinazione non avrebbe chiuso le frontiere, e il Servizio Affari Esteri belga non era in grado di garantire il ritorno in Belgio. Le Ambasciate erano ovviamente sopraffatte dagli eventi.
Dopo essermi registrato sul sito https://travellersonline.diplomatie.be/, informò lo Stato belga che ero a Quito e che dovevo tornare. Ho poi ricevuto diverse e-mail dall’Ambasciata che annunciavano misure progressivamente più adeguate alla realtà della situazione. In primo luogo, il prezzo del biglietto fu limitato a 1.500 dollari, ed è stato creato un sistema di liste d’attesa in base al numero di persone interessate ad un determinato volo. Poi fu annunciato che il transito tra i paesi europei sarebbe stato possibile e che sarebbe organizzato un mezzo di trasporto per raggiungere il Belgio dal paese dove l’aereo sarebbe atterrato.
Il 29, ho potuto finalmente iscrivermi in lista d’attesa su un volo per Zurigo previsto per il 2 aprile. Il prezzo del biglietto era di 1.500 CHF e quello dell’autobus per Bruxelles era di 120 €. Ho dovuto poi inviare i miei dati di contatto all’Ambasciata belga a Lima, un certificato della mia università e il mio permesso di soggiorno belga. Solo il 1° aprile ho ricevuto dall’Ambasciata Svizzera questa volta, l’autorizzazione di spostarmi in Ecuador, la conferma del volo e un modulo di consenso e di accettazione dei rischi da stampare, firmare e rispedire prima della partenza. L’aereo doveva decollare alle 9:45, mi fu chiesto di arrivare 3 ore prima per verificare che il mio nome fosse sulla lista. Arrivata senza problema, non c’erano informazioni pratiche nell’atrio affollato
Poi abbiamo dovuto fare la fila per il controllo della nostra iscrizione. Dopo 45 minuti, ho ricevuto una bottiglia d’acqua e il permesso di registrare mio bagaglio. Il volo Quito-Zurigo era l’unico della giornata. La carta d’imbarco era un semplice pezzo di cartone con le informazioni scritte a mano.
All’imbarco, i passeggeri si sono riaccasatati, alcuni indossavano maschere e altri si erano tolti le scarpe! Furono distribuite bottiglie d’acqua e biscotti. Nell’aereo, quasi tutti i posti erano occupati e i pochi ancora vuoti si sono riempiti allo scalo di Punta Cana (Repubblica Dominicana). Da lì, il volo è durato 8h30. Faceva molto caldo e, con la maschera addosso, non era facile respirare. Di solito non ho problemi a dormire in aereo, ma lì non ci riuscivo, aspettando con impazienza l’atterraggio.
Arrivando a Zurigo il 3 aprile mattina alle 7:15, le hostess ci fecero’ uscire fila dopo fila. Essendo in fondo ho dovuto aspettare a lungo mio turno. Diverse persone impazienti si arrabbiavano, c’erano urla e insulti. Nella hall quattro persone ci aspettavano con piccole bandiere belghe. Gli altri cinque belgi del mio volo arrivati, abbiamo passato i controlli d’immigrazione prima di recuperare nostri bagagli. Ci aspettava un autobus con bottiglie d’acqua, arance e mele. Il Belgio sembrava essere l’unico paese ad aver organizzato il ritorno dei suoi cittadini. Alcuni francesi, lasciati a sé stessi, chiesero se potessero approfittarne, cosa che fu rifiutata perché l’autobus non aveva il diritto di fermarsi fino a Bruxelles. Durante il viaggio furono effettuati due controlli di polizia, uno al confine franco-svizzero e l’altro dopo il confine belga. Sono durati solo pochi minuti, poiché l’autista dimostrò che era un autobus di rimpatrio umanitario.
Dopo 7,5 ore e mezza di viaggio, ci hanno sbarcati alla stazione ferrovie di Bruxelles Sud, senza alcun controllo all’arrivo. Ho preso un taxi fino a casa mia e tutto era “normale”: l’autista non indossava né maschera né guanti. Siamo arrivati senza vedere un solo poliziotto, le strade erano piene di gente che faceva sport o che semplicemente andava in giro. Nessuno indossava una maschera. Dopo un viaggio di più di 24 ore e un fuso orario di sette ore, ho deciso di mettermi in quarantina prima di rivedere mia famiglia. Sorpresa! Non c’era riscaldamento o acqua calda nel mio appartamento a causa di un guasto alla caldaia…
Gissela Tufino Lopez è ecuadoriana, studentessa di laurea in elettromeccanica presso l’EPHEC di Bruxelles, dove vive fin da bambina.
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