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by Rosetta Alberto & Massimo Fotino, “The diagonales”
“Chi opera questi mutamenti? Scocco una freccia verso destra, quella cade a sinistra. Inseguo una cerva e mi ritrovo inseguito da un maiale. Intrigo per ottenere ciò che voglio e finisco in prigione. Preparo trappole per gli altri e ci cado dentro io. Dovrei diffidare dei miei desideri.” Rumi Mowlānā
L’originale cammino che ha portato Giuseppe Barilaro alla definizione del progetto su “Le forme dell’identità”, qui presentato, incrocia quasi miracolosamente la peculiare sfera della rivelazione mistica legata non tanto al comando/compito di obbedienza verso la divinità quanto piuttosto al concetto di esempio “ammirevole” ovvero denso di ammirazione da rivolgere ai singoli individui bisognosi aldilà delle norme astratte o della sfera del dovere morale. Il lavoro di Barilaro si è mosso in questo senso seguendo un itinerario istintivo ma visionario che coglie appieno la differenza tra le forme etiche della visione del mondo zoroastriana e delle dottrine della salvezza mediorientali, e le rappresentazioni magiche ed interiori dei Veda indiani o del Tao Te Ching cinese. Tale percorso tra rappresentazioni del mondo totalmente opposte (da un lato la sfera del principio etico che impone la presenza di Dio e dall’altro quella della testimonianza vista come grazia in un mondo “senza Dio” e liberamente governato), in mezzo alle quali sta la spontanea visione francescana non a caso affine alle concezioni di Rumi Mowlānā, è l’essenza cosmica entro cui Barilaro agisce per mezzo dell’arte. Si tratta di una esplorazione difficile ma densa, tortuosa ma profonda, che mostra con forte drammaticità la separazione, la dicotomia che vive oggi l’esistenza umana stretta tra pulsioni di libertà e regole di obbedienza sociale, emotiva, economica, religiosa. Con la deliberata ed ostinata scelta di volersi porre, da uomo ed artigiano dell’arte occidentale, in mezzo a questi poli così antitetici, Barilaro si è così avviato sulle tracce di una ricerca distintiva attorno alle forme di espressione della profezia e dell’identità dell’artista. Questi diventa, per mezzo dell’arte, un tramite tra la divinità e gli uomini, un profeta. La sua identità è, quindi, la profezia.
Del resto, la stessa etimologia del termine mostra questo dualismo convergente: προφήτης (profétes) è “colui che parla al posto di (Dio)” ma anche “colui che parla pubblicamente”. Non solo quindi “portatore di salvezza” ma anche “portatore di messaggi”. Traslato nel fatto espressivo, questo secondo contenuto dà al lavoro estetico una importanza rivelatrice, facendo dell’artista un profeta speciale, come dice Max Weber un profeta “esemplare”. E sempre Max Weber illumina su questa figura contrapponendola a quella del sacerdote. Egli dice: “All’opposto del profeta, il sacerdote dispensa i beni di salvezza in virtù del suo ufficio […] mentre il profeta opera esclusivamente in virtù dei suoi doni personali. A differenza del sacerdote, il contenuto della missione del profeta [non] consiste in dottrine o imperativi”. Ecco emergere quindi l’identità dell’artista, il cui sguardo non ha la facoltà dell’oracolo o del veggente ma piuttosto la qualità mistica del carisma a mezzo della testimonianza. Egli diviene, cioè, trascinante portatore di messaggi, mediatore esemplare dell’eterno conflitto umano tra obbedienza e libertà la cui azione è espressa nelle forme della creazione estetica (da non dimenticare l’avversione di alcune religioni, tra cui l’ebraica, verso la raffigurazione e l’immagine), le quali prefigurano una “condotta di vita” verso la salvezza, intesa quest’ultima come via d’uscita e salvaguardia dell’umano autentico attraverso la capacità di trovare margini di azione libera dentro la gabbia di acciaio dell’obbedienza. Siamo così con Barilaro nel cuore, nel milieu del problema: quale è in questa antitesi la room for manoeuvre, lo spazio di manovra dell’arte? Come può l’agire artistico com-portarsi in questo conflitto tra obbedienza e libertà propri della condizione umana? E ancora: di che tipo di agire si tratta? Sono domande cui non si potrà dare risposta se non percorrendo palesemente le contraddizioni dell’esistenza mondana e passando necessariamente tramite l’agire progettuale dell’artista e una tensione dell’arte verso la definizione della “condotta di vita”.
Se l’estasi è stato un mezzo di auto-divinizzazione, sia esso nelle vesti di invasamento che di habitus religioso, adesso è compito dell’aesthesis indicare lo spazio di manovra dentro i grandi contrasti del mondo. Giuseppe Barilaro ha già iniziato questo tragitto di ricerca, teso ad individuare spazi vitali in cui prendano forma le identità ancora troppo indistinte e inespresse degli esseri umani, con la forza di chi sa, come nei versi di Hāfez il persiano, che: “solo negando l’equilibrio si cammina”.